martedì 30 novembre 2010

Una botta di vita


Ci risiamo.
Stephen Hawking ha detto che potrebbe esistere vita extraterrestre.
Ha detto anche che, se questo fosse vero, potrebbe essere un pericolo per l’umanità. Gli extraterrestri potrebbero essere cattivi, e avere progetti di conquista sulla Terra.
Ma dico.
A parte che l’idea che possa esserci qualche creatura più feroce dell’essere umano moderno mi sembra francamente risibile, e ancora più risibile che possa esserci qualcuno che faccia male all’umanità più di quello che lei sta facendo proprio adesso a se stessa.
Ma perché dobbiamo sempre guardare il lato brutto, e cercarne uno ancora peggiore?
Perché non portare una botta di vita in questo mondo di morti?
E se gli extraterrestri fossero BUONI?
E se nell’uomo moderno ci fosse ancora una scintilla di umanità, di comprensione, di DIO?
E se fossimo capaci di rendere il mondo un posto FANTASTICO?
E se in noi ci fosse ancora la capacità di sorprenderci, di amare, di guardarci intorno con gli occhi di un bambino?
E se quelli che sognano un mondo migliore non fossero solo dei sognatori?
E se un giorno apparissero nel cielo Buddha e Gesù e non fosse solo un’illusione collettiva?
E se gli uomini, anche se quella fosse un’illusione collettiva, collettivamente prendessero simultaneamente ad amarsi e a rispettarsi?
Se la smettessero di farsi la guerra?
Se la smettessero di essere sempre incazzati, e scoprissero che sotto quella rabbia, proprio dentro di loro, proprio dentro il più incazzato di loro quindi figurati negli altri, ci fosse una gioia infinita che neanche riusciamo a immaginarci?
E se fossimo capaci di immaginarcela, quella gioia?
E se, una volta immaginata, fossimo capaci di manifestarla all’esterno?
E se quella gioia ci facesse ripulire il mondo, e ricoprirlo di fiori e di frutti, di pace e di fratellanza?
PERCHE’ NO?
Diamoci una botta di vita!
ECCHECCAVOLO.

martedì 12 ottobre 2010

Pace


Riporto di seguito le parole del Premio Nobel per la Pace 2010 Liu Xiaobo all’apertura del processo intentatogli per “incitamento alla sovversione del potere dello Stato”, il 23 dicembre 2009.
Per queste parole, e per la sua vita, ringrazio Liu a nome dell’umanità. E con lui ringrazio Gandhi, e Martin Luther King, e Nelson Mandela, e Aung San Suu Kyi, e tutte le Grandi Anime, famose e sconosciute, che hanno dato la loro vita per scuoterci tutti dal nostro sonno spirituale.
Grazie di ricordarci la nostra dignità di figli di Dio, che ci rende uomini, vivi, veri, liberi e non meccanismi perversi asserviti all’odio e alla paura.

“Il giugno 1989 ha segnato il punto di svolta nella mia vita. Prima, la mia carriera era stata una tranquilla cavalcata dal liceo al dottorato alla cattedra all’Università di Pechino, dov’ero popolare e ben accetto agli allievi. Contemporaneamente ero un intellettuale pubblico.
Negli anni 1980 avevo pubblicato articoli e libri di impatto, ero spesso invitato a parlare qua e là ed ero ospitato come visiting professor in Europa e negli Stati Uniti. Avevo però un impegno con me stesso: vivere con onestà, responsabilità e dignità. Di conseguenza, tornato dagli Stati Uniti per partecipare al movimento del 1989, sono stato incarcerato per ‘propaganda contro-rivoluzionaria e incitamento al crimine’, e da quel momento non sono più stato autorizzato a pubblicare o parlare in Cina. Per il semplice fatto di avere espresso opinioni diverse da quelle ufficiali e aver preso parte a un movimento pacifico e democratico, un professore perde la cattedra, uno scrittore il diritto di pubblicare e un intellettuale la possibilità di parlare in pubblico, il che è ben triste, sia per me come individuo sia per la Cina dopo tre decenni di riforme e aperture.
Le mie più drammatiche esperienze dopo il 4 giugno 1989 sono tutte legate ai tribunali; le due opportunità che ho avuto di parlare in pubblico mi sono state fornite dai due processi contro di me, quello del 1991 e quello attuale. Sebbene le accuse fossero diverse, nella sostanza erano identiche: reati di opinione.
Vent’anni dopo, le anime innocenti del 4 giugno non riposano ancora in pace e io, spinto sulla strada della dissidenza dalle passioni di quei giorni, dopo aver lasciato nel 1991 il carcere di Qincheng, ho perso il diritto di parlare apertamente nel mio Paese e l’ho potuto fare solo sui media stranieri, controllato da vicino per anni, rieducato con i lavori forzati e adesso ancora una volta portato in tribunale dai miei nemici dentro il regime. Ma ancora una volta voglio dire a quel regime che mi priva della mia libertà, che io rimango fermo a quanto dissi vent’anni fa nella mia ‘Dichiarazione del 2 giugno sullo sciopero della fame’: non ho nemici e non ho odio. Nessuno dei poliziotti che mi hanno controllato, arrestato e controllato, nessuno dei giudici che mi hanno processato e condannato, sono miei nemici. Mentre non posso accettare che mi abbiate sorvegliato, arrestato, processato o condannato, rispetto le vostre professioni e le vostre personalità. L’odio corrode la coscienza di una persona; la mentalità del nemico può avvelenare lo spirito di un Paese, istigarlo a una vita brutale e a lotte mortali, distruggere la tolleranza e l’umanità di una società, bloccare il progredire di una nazione verso la libertà e la democrazia. Spero perciò di saper trascendere le mie vicissitudini personali replicando all’ostilità del regime con l’amore…
Aspetto con ansia il momento in cui il mio Paese sarà terra di libera espressione, dove i discorsi di tutti i cittadini siano trattati allo stesso modo; dove valori, idee, opinioni politiche competano l’una con l’altra e coesistano pacificamente; dove le opinioni della maggioranza e della minoranza abbiano le stesse garanzie, in particolare siano pienamente rispettate e difese le idee politiche diverse da quelle di chi detiene il potere; dove tutti i cittadini possano esprimere le loro idee politiche senza paura e non siano mai perseguitati per le loro voci di dissenso. Spero di essere l’ultima vittima dell’inquisizione letteraria cinese e che dopo di me nessun altro sarà più incarcerato per aver detto quello che ha detto.”


(il testo di Liu Xiaobo è stato pubblicato da La Stampa del 9 ottobre 2010)

lunedì 13 settembre 2010

Letterina


Caro Stephen Hawking,
ho letto sui giornali che, ritornando sulle tue posizioni di 22 anni fa, secondo le quali i tuoi studi ti avevano dimostrato che l’Universo non può esistere senza il postulato – Dio, oggi, in un tuo nuovo libro, hai affermato che Dio non esiste, il postulato – Dio non è più necessario all’esistenza dell’Universo perché, rispondendo alla domanda di Einstein, la Teoria unificata avrebbe una forza tale da determinare la sua propria esistenza senza bisogno di un creatore.
Così, vorrei porti alcune domande.
Ti sei mai chiesto se il concetto di Dio che ti hanno insegnato le religioni occidentali sia l’unico degno di essere preso in considerazione, anche solo per scartarlo con i mezzi della logica e della scienza?
Ti sei mai chiesto se Dio, invece che un’entità separata e determinante l’Universo, non sia invece l’Energia stessa che è l’Universo? Ti sei mai chiesto, insomma, se esiste un altro modo di intendere Dio? E se è così, ti sei chiesto se il fatto che l’Universo non ha bisogno di Dio perché la Teoria è sufficiente da sola a spiegare se stessa si verifica perché Dio è la Teoria stessa?
Ti sei mai chiesto cosa permette alla tua straordinaria intelligenza di riuscire a manifestare se stessa nonostante il terribile handicap che affligge il tuo corpo? Non è la tua stessa intelligenza, e la sua forza dirompente, Dio? Non è la tua incrollabile volontà e determinazione con cui l’hai affermata, Dio?
Non hai pensato che in un mondo sempre più materialista e cinico, la tua teoria della superfluità di Dio può contribuire a rendere il mondo un po’ più brutto, mentre 22 anni fa l’avevi reso più bello?
Ti sei mai chiesto se credere in Dio, indipendentemente dal fatto che Egli esista o no ed in quale forma, può essere un modo per rendere migliore l’esistenza?
Non ti chiedo se hai mai letto i Veda, o ti sei mai avvicinato al misticismo Sufi, che sull’interazione Dio – Universo avrebbero molto da dirti, perché mi sembra incredibile che tu abbia potuto ignorare quel patrimonio isolandoti esclusivamente nel positivismo scientifico.
C’è stato un grande Maestro spirituale del ‘900, si chiamava Osho, e naturalmente credeva in Dio. “Naturalmente”, nel senso letterale del termine, perché l’esistenza di Dio lui l’aveva sperimentata di persona nel conseguire l’illuminazione, che altro non è se non la percezione definitiva della vera natura dell’uomo.
Sai cosa diceva, Osho? Diceva che la logica è una puttana (come ben sanno gli avvocati): esistono argomentazioni logiche sia per affermare una tesi che per negarla. E tu, caro Stephen, con il tuo credere per “logica” in Dio 22 anni fa e col tuo negarlo oggi perché la Teoria è sufficiente a spiegare se stessa, ci sei caduto dentro con tutte le scarpe.
La logica, si sa, lo insegnano tutti i mistici, non è in grado di dimostrare Dio. Esiste qualcosa di più profondo e di più grande, al di là della logica, al di là del positivismo scientifico, che si può solo percepire e vivere, ma non si può dimostrare con il raziocinio né con la matematica.
Perciò, ti faccio l’ultima domanda, a nome del mio amico Raffaele, che dopo anni di ricerca spirituale la sa davvero lunga: che senso ha tutta questa tiritera scientifica sull’esistenza di Dio? Davvero, non se ne sentiva il bisogno.

mercoledì 30 giugno 2010

Sniffa il micio


Immagina un foglio bianco tagliato in due da una linea orizzontale. La riga rappresenta il livello medio di consapevolezza degli umani sulla Terra attualmente (livello piuttosto basso, purtroppo). Puoi oltrepassare la linea, spostandoti al di sopra, oppure al di sotto. Se riesci ad andare al disopra, puoi diventare un Buddha. Se scendi al di sotto, ti avvicini all’ameba (nel senso che l’ameba è un po’ più evoluto di te).
Cosa ti porta al di sopra? L’introspezione, la meditazione, la preghiera, la ricerca spirituale. Cosa ti porta al di sotto? Lo sballo, che riassume in una parola tutto ciò che stordisce e ottunde la sensibilità dell’individuo dandogli l’illusione di non sentire più la paura, il dolore, la frustrazione.
Per procurarsi lo sballo, l’umano notoriamente fa ricorso alle tecniche più cretine e autolesionistiche disponibili nell’universo: alcool, droga, alta velocità, mondiali di calcio. E qui ti sconvolgo: anche il Buddha conosce lo sballo. Naturalmente, quello del Buddha è uno sballo intelligente, talmente intelligente che tu, col tuo medio livello di consapevolezza (piuttosto basso, purtroppo) non te lo puoi facilmente immaginare.
Lo sballo del Buddha è quello che acuisce al massimo la sensibilità dell’individuo, innalzandolo al tempo stesso al di sopra della paura, del dolore e della frustrazione. Buddha lo chiamava Nirvana: sei diventato molto più sensibile dell’uomo medio (non parliamo del quasi – ameba) ma osservi tutto con distacco, non ti identifichi più con i processi della mente e con i conseguenti effetti dolorosi di questa identificazione.
Lo sballo del Buddha puoi provarlo anche tu, anzi sicuramente ti ci sei già trovato molte volte ma la tua eccessiva familiarità con l’ameba non ti ha permesso di accorgertene. Accade quando la mente si svuota dei pensieri come un cielo sgombro da nuvole, quando ti senti felice senza un motivo esterno a te, quando ti sembra che il tuo corpo non finisca con i suoi confini naturali ma prosegua nell’infinito contenendo in sé tutti i mondi. Quei momenti unici di silenzio e di comunione col tutto possono essere favoriti in molti modi, come ho detto all’inizio: con la meditazione, l’introspezione, la preghiera, la ricerca spirituale.
C’è poi un modo fantastico e semplicissimo, che si chiama contatto con la natura. Se riesci a rapportarti ad essa in modo meditativo lo sballo buddhico può accadere anche a te. Prova con un micio: il tuo, se ne hai uno, o anche un micio randagio, o il micio del tuo amico più furbo di te (perché lui ha un micio e tu no). Fattelo salire addosso. Lascia che si accomodi su di te seguendo le sue imperscrutabili e surreali geometrie, entra in sintonia col suo ronfo soddisfatto, rimani nel suo campo aurico dimenticando la tua paura, il tuo dolore, la tua frustrazione. Respira l’energia del micio, lentamente, dolcemente. Vedrai che accade. La porta del Nirvana si apre da sola, e allora ti accorgi che in realtà non era mai stata chiusa, eri solo tu che eri cieco. Respira il micio e, per un attimo, riuscirai a sentire il Buddha che sei sotto la tua identità finta, sotto quello che credi di essere ma non sei (per fortuna).
Insomma, quello che voglio dirti è: per favore, smetti di sniffare – fumare – sbevazzare porcherie, smetti di incazzarti se la tua squadra non vince i mondiali come se fosse venuta meno la tua unica ragione di vita, smetti di sentirti vivo solo se metti in pericolo la tua vita con sfide cretine e sport estremi. Smetti di aggrapparti a tutto ciò che non dura e non è importante solo perché lo vedi e lo tocchi e ti fa sentire un dio. Tu non hai bisogno di “sentirti” Dio. Tu sei già Dio, devi solo aprire i tuoi occhi. E il micio, credimi, può davvero aiutarti. Molto più della droga, dei brividi estremi, persino dello psichiatra, che troppe volte ha bisogno di un altro psichiatra che si prenda cura di lui.
Per favore, quando ti senti giù, non fare cazzate. Sniffa il micio. Ti prego. Sniffa il micio – sniffa il micio – sniffa il micio.

lunedì 31 maggio 2010

Grazie


Grazie, Signore, di avermi dato due genitori pazzi e fuori di testa, due genitori talmente sprezzanti delle leggi che regolano la vita umana su questo pianeta, che mi hanno insegnato a dare valore all’amore, alla verità, alla generosità, alla tolleranza, al rispetto. Mi hanno insegnato a non fare agli altri ciò che non avrei mai voluto per me, mi hanno portato a sviluppare il cuore, e, come le tre scimmiette indiane, a non guardare il male – non ascoltare il male – non pronunciare il male. Mi hanno insegnato l’importanza della dignità e della libertà, e, facendomi studiare, mi hanno permesso di impadronirmi di una chiave potente, la cultura, che si può usare per aprire molte porte, ma grazie a loro ha potuto aprire per me la porta più importante di tutte, quella della ricerca spirituale.
Con questi insegnamenti non si diventa ricchi. Non si fa carriera, non si raggiunge il successo. Succede solo che la sera ti addormenti con la pace nel cuore, e la mattina ti svegli colma di gratitudine, e qualunque cosa accada senti che sei protetta dal grande cuore di Dio che contiene in sé tutti i mondi, anche il tuo, e non hai più paura di cadere, perché, fuori da quel cuore, non c’è nessun posto dove cadere.

mercoledì 28 aprile 2010

Totalità


Quando ami qualcuno, amalo tutto intero.
Non cercare in lui solo i tratti positivi, buoni, meritevoli.
Non giudicarlo, non dividerlo.
Lo fai, perché ti hanno insegnato a dividere l’esistenza: a separare il bene dal male, il giusto dallo sbagliato, il bello dal brutto, e tu per tutta la vita fai un continuo sforzo per conservare ciò che ritieni positivo, e gettare via ciò che giudichi negativo.
Lo fai, perché ti hanno insegnato che solo ciò che la tua mente giudica buono può essere amato, mentre ciò che essa giudica cattivo deve essere rifiutato.
Così, non ti permetti di amare ciò che giudichi negativamente perché, se lo facessi, ti assalirebbero i sensi di colpa. Ma questo ti porta solo a distorcere la persona che ami, distorcendo anche te e il tuo amore nel tentativo impossibile di giustificare il tuo amore davanti a te stesso.
Lasciati libero: ama totalmente; di chi ami, ama la sua grandezza ed anche la sua meschinità, la sua gioia e il suo dolore, il suo coraggio e la sua viltà, le sue luci e le sue ombre.
Non scartare nulla: l’amore non butta via niente, altrimenti non sarebbe amore.

martedì 6 aprile 2010

La setta


Grazie, Cardinal Poletto.
Grazie di averci confermato ufficialmente l’avvenuta scomunica di Roberto Casarin da parte della Chiesa Cattolica.
Grazie di averci fatto sapere che la Chiesa Cattolica , quella che ha decimato i catari nel medioevo, massacrato i musulmani durante le crociate, annientato gli indios sudamericani e la loro cultura ai tempi dei conquistadores spagnoli, quella che ha innalzato roghi in tutta l’Europa per bruciare tutti coloro che non la pensavano come lei dopo averli torturati con tecniche di raffinato sadismo, quella che ha perseguitato Giordano Bruno e Padre Pio, salvo poi chiedere perdono per l’assassinio del primo e appropriarsi della santità del secondo, quella che ha coperto i suoi esponenti “consacrati” che molestano sessualmente i bambini, e che vorrebbe le donne continuamente gravide e sottomesse: grazie di averci fatto sapere che questa Chiesa non desidera annoverare al suo interno Swami Roberto.
Grazie Cardinal Poletto di averci fatto sapere che il nostro Maestro, il nostro grande, meraviglioso, amato Swami non appartiene alla vostra setta.

martedì 30 marzo 2010

Maestri spirituali


Nella mia vita, ho avuto quattro maestri spirituali più uno.
J. Krishnamurti mi ha insegnato che vivere di seconda mano, come normalmente fa l’essere umano, non è vivere.
Sai Baba mi ha insegnato che l’amore è l’essenza della vita.
Osho mi ha insegnato l’integrità.
Swami Roberto mi sta insegnando Dio.
Il “più uno” è stato il mio cane, Coke, detto Coccolino, un piccolo, grasso, adorabile incrocio di bassotto e lupo.
Non aveva bisogno di parlare. Bastava guardarlo negli occhi, e Dio era lì.

L'amore non viene per sistemarci


L’amore non viene per sistemarci.
L’amore non viene per darci sicurezza, protezione, non viene per omologare la nostra vita a degli schemi comportamentali decisi da altri per non sentirci “sbagliati”.
L’amore non è la toppa che si mette per coprire i buchi delle nostre paure.
L’amore viene per risvegliarci dal nostro sonno, per metterci in crisi, per precipitarci al centro del nostro essere costringendoci a guardarci dentro. Viene per tirar fuori l’uomo e la donna che sono dentro di noi e per farli risplendere nel loro essere divino.
L’amore non è una maschera dietro cui nascondere i nostri difetti e le nostre mancanze, ma ciò che ci toglie per sempre tutte le maschere.
Fuggiamo l’amore perché abbiamo paura di soffrire, ma il finto amore, il simil – amore, quello che cerchiamo per sentirci sicuri e socialmente integrati, per sfuggire alla solitudine, ci rende solo più soli, più ansiosi, più confusi e nevrotici.
Ma l’amore non è una fuga. L’amore è vita, è coraggio, è attraversare la propria paura lasciandola andare come un vestito smesso.

martedì 23 marzo 2010

Illuminazione e compassione


Siamo come gli atomi.
Mi spiego. Un atomo può essere visto e descritto a vari livelli. Per esempio, al livello più superficiale, l’atomo può essere definito come la particella elementare che costituisce la materia: si sa che tutti i corpi sono costituiti da atomi. Se si approfondisce, però, si scopre che l’atomo è a sua volta costituito da particelle più piccole, disposte in un certo modo: protoni e neutroni nel nucleo, e elettroni alla periferia. Si scopre inoltre che fra il nucleo e la periferia c’è una gran quantità di spazio vuoto. Se si approfondisce ancora di più, vien fuori che le particelle dell’atomo sono composte di altre micro particelle in cui la gran parte dello spazio è sempre vuoto, e via via scomponendo salta fuori che la “sostanza” che compone di sé l’universo altro non è che spazio vuoto.
Quando dico che gli uomini siamo come gli atomi, voglio dire che possiamo essere letti a vari livelli, ognuno più profondo del precedente, e ognuno, nei suoi limiti, vero. L’uomo è fatto di materia, perché ha un corpo. In questo senso, è corretto dire che l’uomo è il suo corpo, poiché, al livello della materia, si manifesta in forma fisica. È anche vero che l’uomo si manifesta anche in forma non – fisica, come emozioni e come pensieri. In questo senso, appare corretto dire che l’uomo è le sue emozioni e i suoi pensieri. Scendendo sempre più in profondità, scopriamo che l’uomo è spirito incarnato in un corpo – mente. È quindi corretto affermare che l’uomo è spirito, e, se identifichiamo lo spirito con Dio, possiamo dire che l’uomo è Dio.
Tutte queste affermazioni sono vere, ognuna nel suo livello: l’uomo è il suo corpo, l’uomo è la sua mente, l’uomo è spirito incarnato, l’uomo è Dio. C’è una progressione, però, in tutto questo. Man mano che si indaga e si scende in profondità, la verità si affina, potrei dire che si fa più vera.
Lo stesso accade per tutto ciò che è, siano situazioni, concetti, persone.
Esistono vari livelli di lettura, e sono tutti veri, ognuno nel suo livello.
Questo spiega perché una certa realtà viene vissuta ed interpretata e compresa in modi diversi da persone diverse: dipende dal grado di profondità cui ognuno è arrivato nel suo percorso interiore; se la verità ha dieci livelli e io sono arrivato al livello tre di evoluzione, non sarò in grado di percepire il livello quattro della verità, e il cinque e il sei, via via fino al dieci. Vuol dire che sono sul percorso, e continuando a scendere dentro di me verrà un giorno che arriverò fino al livello dieci.
Il livello dieci è quello che i mistici chiamano illuminazione. Da lì, è possibile vedere tutti gli altri livelli, e comprendere chi non riesce a vedere oltre il punto dove è arrivato. Questo si chiama compassione: la comprensione profonda dell’altro, perché si è fatto lo stesso percorso e si riconoscono le stesse debolezze, gli stessi problemi, la stessa paura.

mercoledì 17 marzo 2010

Chakravartin


Avete notato come ci sia la tendenza nella nostra società a voler emergere, apparire, esibirsi, essere in qualche modo speciale?
E questo accade in ogni categoria e ad ogni livello: l’operaio o l’impiegato tentano il Grande Fratello o Affari tuoi, il medico vuole diventare a tutti i costi un Barnard, l’avvocato vuol diventare Capo del Governo, l’imprenditore vuole dare la scalata al mercato globale e diventare monopolista nel suo ramo d’attività.
Nessuno è veramente contento di se stesso, vuole sempre essere o avere qualcosa di più, qualcosa di meglio, qualcosa che lo distingua dagli altri.
Mi si può obiettare che è sacrosantamente giusto cercare di migliorarsi. Sono assolutamente d’accordo. Ma in questo caso, non si tratta di migliorarsi, ma di continuare a correre dietro al proprio ego impazzito, allontanandosi infinitamente da se stessi: non è un miglioramento, è un peggioramento.
Inoltre, in un mondo in cui tutti si sforzano disperatamente di differenziarsi e di essere speciali, la conseguenza inevitabile è la massificazione: la trasgressione di massa, l’esibizione di massa, masse di persone “speciali” che guarda caso raccontano tutte di sé la stessa storia – fotocopia.
Così, sull’onda di questa riflessione, mi vengono in mente due persone davvero speciali, due maestri spirituali vissuti in epoche molto lontane tra loro. Quello più vicino a noi, un giorno degli anni ’70, ha raccontato ai suoi discepoli una storia tramandata sul più antico.
Eccola:

“[Buddha] era seduto sotto un albero quando un astrologo gli si avvicinò – era molto perplesso, perché aveva visto le orme lasciate dal Buddha sulla sabbia bagnata e non era riuscito a credere ai suoi occhi. Tutti i testi che aveva studiato nell’arco della sua vita gli avevano parlato di particolari segni, presenti sui piedi dell’uomo che governa il mondo – un chakravartin – il signore dei sei continenti, il sovrano di tutta la Terra. Aveva visto quelle impronte sulla sabbia bagnata, lungo la sponda del fiume, e tutti quei simboli erano evidenti al punto che era rimasto allibito. O tutte le scritture da lui studiate erano sbagliate e lui aveva sprecato tutta la sua vita nello studio dell’astrologia … infatti, come era possibile che in un pomeriggio così afoso, in un villaggio così misero e sporco, si trovasse un chakravartin, che in più camminava a piedi nudi, sulla sabbia ardente?
Seguì quelle orme, per cercare l’uomo che le aveva lasciate. Trovò Buddha seduto sotto un albero, e divenne ancor più perplesso. Il volto era di un chakravartin – la grazia, la bellezza, il potere, l’aura – ma l’uomo era un mendicante, e aveva con sé la ciotola delle elemosine!
L’astrologo toccò i piedi a Buddha e gli chiese: ‘Chi sei, o signore? Mi hai lasciato perplesso. Dovresti essere un chakravartin, il sovrano del mondo. Cosa fai qui, seduto sotto un albero? O tutti i miei libri di astrologia sono sbagliati, oppure io ho delle allucinazioni e tu non sei veramente presente’.
Buddha disse: ‘I tuoi testi sono esatti, ma esiste qualcosa che non appartiene ad alcuna categoria, neppure alla categoria dei chakravartin. Io sono, ma non sono nessuno in particolare’.
L’astrologo disse: ‘Mi lasci ancor più perplesso. Come puoi essere senza essere nessuno in particolare? Devi essere un dio che è venuto a visitare la Terra – lo posso vedere nei tuoi occhi!’.
Buddha disse: ‘Non sono un dio’.
L’astrologo disse: ‘Allora devi essere un gandharva, un musico celeste’.
Buddha disse: ‘No, non sono nemmeno un gandharva’.
L’astrologo chiese ancora: ‘Allora sei un re sotto mentite spoglie? Chi sei? Non puoi essere un animale, non puoi essere un albero, non puoi essere una roccia – chi sei con esattezza?’.
E la risposta che Buddha diede è incredibilmente importante, e va compresa. Disse: ‘Sono solo un Buddha – sono semplice consapevolezza, null’altro che questo. Non appartengo ad alcuna categoria. Ogni categoria è una identificazione e io non ho alcuna identità’”.
(Tratto dal libro: Osho, La mente che mente – Commenti al Dhammapada di Gautama il Buddha, Universale Economica Feltrinelli, 2006, pp. 225 – 226).

Vogliamo essere speciali, semplicemente perché non siamo, quando per cambiare il mondo basterebbe essere, semplicemente.

lunedì 15 marzo 2010

Potere femminile


Adesso lo chiedo alle donne.
Visto che per voi gli uomini sono stronzi bugiardi, stronzi traditori, stronzi vigliacchi, stronzi egoisti, stronzi mammoni, stronzi infantili, stronzi carrieristi, stronzi tirchi, stronzi musoni, stronzi menefreghisti, stronzi cafoni, stronzi opportunisti, stronzi approfittatori, stronzi che-pensano-solo-a-quello; visto, insomma, che per voi gli uomini sono solo degli stronzi, perché vi stupite che restino sempre a galla?
Siete voi, che ce li tenete.

P.S. Avrete notato che, rispetto a quella delle donne rompicoglioni, la varietà dei maschi stronzi è molto più ristretta. Questo naturalmente non dipende dal fatto che ci siano più donne rompicoglioni che maschi stronzi. Significa solo che il maschio è decisamente più limitato.

giovedì 11 marzo 2010

Sburocrazia sanitaria


Sono andata a fare l’esame delle urine.
Il mio medico della mutua mi aveva prescritto per la precisione esame delle urine e urocultura con ATB. ATB significa antibiogramma. L’antibiogramma è quella cosa in cui si dice a quali particolari antibiotici i germi che sono stati rintracciati nelle tue urine sono sensibili e a quali no. Serve per prescriverti una cura mirata. Così puoi prendere a cannonate i vari pseudomonas, proteus mirabilis, escherichia coli, e tutti quegli altri simpatici personaggi a cui piace abitare abusivamente le urine degli umani.
Praticamente uno sfratto sanitario.
Ho scoperto che, come negli sfratti umani, anche per gli sfratti sanitari esiste una burocrazia, che, in definitiva, fa più gl’interessi degli sfrattandi che quelli dell’umano proprietario della vescica e di tutte le sue pertinenze.
Adesso vi spiego.
Mi sono presentata alla reception della clinica dove fanno le analisi, portandomi dietro il mio bicchierino con le urine del mattino, che cercavo di nascondere fra le mani perché io appartengo ancora a quella categoria di persone che si vergognano di far sapere che fanno pipì e altre cosine. Fissando il mio bicchierino, l’impiegata mi squadra seria da dietro il monitor del computer, e mi fa: “Ce l’ha le urine?”, rispondo “Sì”, dice “è il primo getto o il secondo getto?”.
Oddio. La guardo allarmata. Il medico mi aveva soltanto detto di pisciare in un contenitore a bicchierino invece che in una provetta. Ero sicura di aver fatto tutto per benino (io sono una perfezionista).
Vedendomi in palese difficoltà, l’impiegata cerca di venirmi incontro.
“Per l’esame delle urine bisogna raccogliere il primo getto in un contenitore non sterile”. Guarda di nuovo il mio bicchierino con occhio critico e mi chiede, con tono inquisitorio: “Quello è il primo o il secondo getto?”.
Oddioddio. Superando la sconcertante sensazione di sentirmi un incrocio fra uno spruzzatore per profumi ed un idrante da giardino, timidamente rispondo “Il primo”. E lei, implacabile: “quello va bene per l’esame delle urine, ma non per l’urocultura”. La guardo. Un po’ di anni fa, nella stessa clinica, ho fatto qualche milione di uroculture con esame delle urine e ATB e nessuno ha mai sindacato l’ordine degli spruzzi. Mi prende una vaga inquietudine, che diventa panico quando l’impiegata sentenzia il rinvio dell’urocultura alla mattina successiva, previa nuova raccolta delle urine, secondo getto, in contenitore sterile. “Lo porti direttamente in sala prelievi”, aggiunge, conciliante.
Non dico che ho passato una notte insonne chiedendomi che differenza passa fra il primo e il secondo spruzzo, e come distinguerli tra loro (quanto è lungo il primo spruzzo? Posso decidere io, a piacere? O devo farlo misurare dallo specialista? E se per caso lo faccio troppo lungo? O troppo corto??).
Non dico che non ho ancora capito quali sono “le prime urine del mattino” (io di notte mi alzo dalle due alle quattro volte per fare la pipì, e dalle quattro in poi del mattino mi attanaglia il dubbio atroce di non aver fatto nel bicchierino la prima urina del mattino, oppure di aver fatto nel bicchierino la seconda, quella sbagliata - ma non era la seconda, quella giusta, nel bicchierino??).
La mattina dopo, fugati con maturità stoica tutti i dubbi che mi avevano funestato la notte precedente, porto con timore reverenziale il secondo bicchierino, secondo spruzzo, direttamente in sala prelievi. Mentre deposito con cura religiosa il mio bicchierino nella griglia dei contenitori, sento l’infermiera della saletta accanto che, con piglio da marine, apostrofa l’analizzando di turno con un “ma qui c’è segnata una sola analisi, e lei mi porta due contenitori…!”.
Lo ammetto, ho avuto paura e sono fuggita.

Trasmutazione del maschio


Cari maschi, vorrei farvi una domanda.
Seria.
Premesso che le donne intelligenti vi rompono i coglioni, le donne cretine vi rompono i coglioni, le donne fedeli vi rompono i coglioni, le donne infedeli vi rompono i coglioni, le donne gelose vi rompono i coglioni, le donne frigide vi rompono i coglioni, le donne buone vi rompono i coglioni, le donne isteriche vi rompono i coglioni, le donne – mamme vi rompono i coglioni, le donne – amanti vi rompono i coglioni, le donne – mogli vi rompono i coglioni, le donne serie vi rompono i coglioni, le donne consapevoli vi rompono i coglioni, le donne ignoranti vi rompono i coglioni, le donne infantili vi rompono i coglioni, le donne aggressive vi rompono i coglioni, le donne apprensive vi rompono i coglioni, le donne menefreghiste vi rompono i coglioni, le donne sensibili vi rompono i coglioni; premesso insomma per farla breve che tutte le donne vi rompono i coglioni, vi domando: sarà forse tutta questa rottura di coglioni il motivo per cui sta tanto aumentando il numero di maschi che li hanno perduti?

Non è colpa mia


Avete mai notato come gli esseri umani tendano sempre a scaricare la propria responsabilità? Qualunque cosa accada, è sempre colpa di qualcun altro.
È colpa del governo, del clima, della società, del vicino di casa stronzo, del cane che abbaia, dello stupratore seriale.
È colpa della legge, della polizia, dell’imperialismo americano, del deficiente che si è preso la precedenza che gli dava il codice della strada invece di lasciar passare me per primo.
C’è sempre qualcuno che ci provoca, che ci fa del male, che ci spia, che ci tradisce, che ci spettegola.
Ma se ognuno continua a dare la colpa agli altri di tutto quello che non va nella propria vita e nel mondo, di chi è la colpa? Se siamo tutti innocenti, perché tutto va a rotoli?
È molto comodo e apparentemente liberatorio scaricare sempre la responsabilità sugli altri: c’impedisce di vedere il nostro schifo. E non v’illudete, c’è dello schifo in ognuno di noi, senza eccezioni.
Ma il vero problema non è lo schifo interiore, quello si può ripulire. I maestri spirituali di ogni tempo e di ogni tradizione ci hanno ampiamente insegnato come fare.
Il vero problema è che non accettiamo di guardarci dentro, perché questo comporterebbe un impegno notevole, una notevole onestà verso noi stessi (che siamo quelli a cui mentiamo più che a chiunque altro) e soprattutto, in questi tempi in cui conta solo l’esteriorità, la distruzione dell’immagine che ci siamo costruiti di noi.
Allora, invece di fare pulizia, prendiamo i maestri spirituali e li perseguitiamo, li calunniamo, li sputiamo, li torturiamo, li crocefiggiamo, li avveleniamo, li facciamo a pezzi.
Adesso capisco perché sono stati eliminati i manicomi. In un mondo di pazzi, o chiudi i sani, o chiudi i manicomi.

Libertà


Dovremmo imparare dai gatti.
Mi riferisco nello specifico alla libertà.
Un gatto non sarà mai uno schiavo, di niente e di nessuno.
Chi ha o ha avuto un gatto lo sa.
Una mia carissima amica diceva che non era lei ad avere il gatto: era il suo gatto che aveva lei. È così che funziona. Il gatto è l’essere più libero del creato. Fa quello che vuole, quando vuole e come vuole. Voi v’illudete che non sia così. Farvelo credere fa parte della sottile strategia del gatto. Il gatto piuttosto si fa ammazzare, ma non molla ciò che è suo di diritto. Il gatto sa che la libertà è il bene più prezioso che esiste in natura. Per questo in ogni momento della sua vita onora la sua libertà. Potrei dire che la vita stessa del gatto è votata alla celebrazione della libertà.
Imparare dal gatto significa capire che la libertà è una condizione mentale e non fisica, una qualità dell’anima, assoluta ed imprescindibile per ogni creatura. Significa capire che la dignità è la qualità con la quale ogni creatura è chiamata a difendere la sua libertà, e che gli animali (tutti, non solo i gatti) conoscono questa qualità che molti umani hanno dimenticato per inseguire una vita comoda,una vita ricca, una vita tranquilla, una vita sicura, una vita perbene, e sono diventati schiavi di altri umani, o del denaro o della paura.
Ma senza libertà, e senza dignità, non c’è più uomo, non c’è più anima, non c’è più Dio.
Non c’è più niente.

Sembro, dunque sono


Cercavo solo uno shampoo.
Un normalissimo, comunissimo, imbecillissimo shampoo per capelli grassi (io ho i capelli grassi).
Ho girato due supermercati del centro cittadino. Due. Per trovare un normalissimo, comunissimo, imbecillissimo shampoo per capelli grassi.
L’ho trovato nascosto nell’ultimo scaffale in basso, che mi guardava con timidezza.
Poverino, lo capisco. Sopra di lui, file di shampi (lo so, che non si scrive così, il plurale, ma lasciatemelo fare, per piacere) effetto liscio per trasformare i capelli ricci in capelli stirati, effetto crespo per trasformare i capelli lisci in capelli ricci, effetto seta per rendere lucidi capelli opachi, effetto perla per rendere iridescenti i capelli normali, effetto meches per far durare più a lungo i colpi di sole, effetto idratante per nutrire i capelli secchi, effetto lucentezza per far brillare i capelli spenti, file e file di shampi di tutte le marche e di tutti i colori, che si affacciavano impettiti come soldatini dagli scaffali, e quasi sembravano gridarmi in coro, con aria vagamente aggressiva, comprami-comprami-comprami.
Quando ero bambina (non centocinquant’anni fa, solo una trentina), esistevano due – tre tipi di shampoo: capelli normali, antiforfora, capelli delicati.
Che cosa ci è successo?
Siamo talmente scontenti di noi, ci rifiutiamo talmente profondamente, che anche un banalissimo shampoo ci parla delle nostre imperfezioni e ci promette di correggerle: hai i capelli crespi? Allisciali, altrimenti sei sbagliato; hai i capelli lisci? Falli diventare ricci, se resti così fai schifo; e poi rendi il più finto naturale possibile la tinta finta che ti fai per correggere quella naturale, così sembra che siano capelli veri invece il biondo è finto, ma non è importante se siano veri o finti, quello che conta è che tutto sembri vero. SEMBRI vero.
Pensateci.

Egoismi


Pensavo.
Pensavo a quanto sia sottile l’egoismo dell’uomo. Tanto sottile che in certi casi quasi diventa impossibile vederlo, eppure c’è, come una nota di fondo sempre uguale, che si mescola ai rumori del mondo e ci abitua a sé tanto da non accorgercene neanche.
Pensavo che il piccolo egoismo, come il grande, contribuisce al malessere del mondo. Per esempio: quando mi aspetto che il mio amico mi capisca, mi dia aiuto, disponibilità, conforto, consiglio, perché è un amico e gli amici, si sa, si vedono nel momento del bisogno. Certo, del mio. Perché quando invece è l’amico che va capito, aiutato, confortato, consigliato, io non ho mai tempo, sono sempre in un periodo incasinato, mi è morto il cane, il gatto, il nonno, il portinaio, ho distrutto la macchina in un incidente in cui naturalmente non ero io il responsabile, il mio partner mi tradisce e la zuppa si è attaccata alla pentola.
Azzo.
Oppure. Il mio amico mi sta dicendo qualcosa. Me ne accorgo perché mi sta di fronte e mi guarda muovendo le labbra. Di solito quando fa così significa che sta cercando di comunicarmi qualcosa. Allora perché invece di ascoltarlo e magari rispondergli in un modo che gli faccia capire che sto seguendo quello che dice gli do sulla voce parlando di tutt’altro come stessi cambiando canale alla radio perché la trasmissione non mi piace? O subisso io il mio amico senza permettergli di inserire nemmeno un’interiezione fra una parola e l’altra del mare di imbecillità in cui lo sto sommergendo, impedendomi di tirare il fiato negli intervalli che non ci sono?
Tanti piccoli egoismi reiterati ogni giorno fanno un unico grande egoismo, che affoga la terra. È proprio quello che sta succedendo, nel caso qualcuno ancora non se ne fosse accorto.
Pardon, forse gli si è bucata una gomma mentre andava ad un importantissimo appuntamento, ed è troppo impegnato ad inquinare l’aria di sante madonne, perché non gliene va mai bene una in questo mondo di m…

Il miracolo c'è


Eppure.
Nonostante lo schifo in cui quotidianamente nuotiamo, nonostante lo schifo che continuamente produciamo con le nostre immondizie mentali che instancabilmente spargiamo nello spazio in cui la Vita ci fa l’immenso ed incommensurabile dono di se stessa, nonostante la nostra brutalità ed inconsapevolezza, siamo circondati dal miracolo.
Il miracolo ci viene incontro al mattino, sotto forma di un nuovo giorno da vivere, sotto la forma del cielo, di stormi d’uccelli, di fronde d’alberi che si stagliano con i loro rami nell’infinito. Il miracolo occhieggia nei piatti pieni di cibo che abbiamo davanti quando mangiamo, nel profumo del caffè con cui chiudiamo un pasto, o che dividiamo con un amico incontrato per caso, che non vedevamo da tempo e che è lui stesso il miracolo del giorno.
Il miracolo è il canto di un uccello solitario nel silenzio che precede l’alba in una città ancora addormentata, il cuore che ci batte nel petto un altro giorno ancora, un raggio di sole che fende il gelo invernale, la luce rosa di un tramonto dietro nuvole bianche, se solo guardassimo il cielo, ogni tanto, uscendo dall’ufficio, dalla fabbrica, dal negozio.
Il miracolo è la nuova possibilità che ogni giorno, ogni attimo l’esistenza ci mette davanti, per cambiare tutto, per realizzare i nostri sogni, per rendere il mondo migliore; è la forza di andare avanti quando non ne possiamo più, il coraggio di vivere quando sarebbe più facile morire, la speranza che prima o poi lo schifo finirà.
Il miracolo è la dolcezza che senti scorrere nel corpo come sangue, la gioia che ti attraversa senza un motivo, e ti fa sentire così leggero che senti che potresti volare, se solo ti dessi il permesso di farlo.
Il miracolo è il fiume che scorre e prende il colore del cielo sopra di sé, il cane che annusa una pozzanghera, è la fine del temporale, il vento caldo delle Alpi che ti scompiglia i capelli.
Il miracolo è il cellulare che squilla e ci parla con la voce di chi amiamo, magari quando meno ce lo aspettiamo, per ricordarci che, anche se noi lo dimentichiamo continuamente, siamo infinitamente amati da quella stessa Vita che insultiamo tutti i giorni con la nostra scontentezza e con la nostra incapacità di vedere i miracoli.

martedì 9 marzo 2010

Piena responsabilità


Siamo tutti responsabili di ciò che accade nel mondo.
Non è un'opinione, è un dato di fatto.
Quando i prepotenti fanno quello che vogliono e gli altri, le pecore, girano la faccia dall'altra parte, perchè altrimenti rischiano anche loro. Perchè hanno famiglia. Perchè se no perdono il lavoro. Perchè hanno PAURA. Così i prepotenti diventano sempre di più, grazie all'omertà e alla paura delle pecore.
Ma anche in quello che mangiamo. Gli animali vengono torturati, sfruttati e uccisi per fornire a noi l'arrosto, il latte del mattino, le uova. Quanto c'è della responsabilità di ognuno di noi nella sofferenza degli animali di cui ci nutriamo? E potremmo benissimo vivere di cibo non animale: niente domanda, niente offerta, niente tortura.
Ma anche il cibo non animale, con quali mezzi arriva al nostro piatto? Penso agli extracomunitari trattati come vacche da macello nella raccolta dei pomodori o degli agrumi. Anche in questo siamo responsabili. Eppure, non possiamo smettere di mangiare, o di vestirci. E quando non ti puoi permettere il made in Italy perchè sei disoccupato o sottopagato, compri la roba cinese che viene fatta da cinesi - schiavi nei laboratori - dormitori. E sei responsabile. Ma anche quello che trovi nelle boutique spesso è made in China. Lo sfruttamento avviene direttamente in loco. E lo paghi anche caro.
Quello che voglio dire, è che abbiamo ridotto la società ad un tale lurido marciume che ormai non è più possibile tenersi fuori dallo schifo. E' come essere nella tazza di un water otturato. Al massimo, puoi tapparti la bocca per evitare di bere.

mercoledì 3 marzo 2010

Cani al guinzaglio


Ok.
Spiegatemi perchè ci sono persone che portando a spasso il loro cane lo tirano quando si ferma per fare la sua pisciatina contro un muro o la ruota di un'automobile o qualche altro posto interessante.
Spiegatemi perchè lo portano fuori per fare la "passeggiatina igienica" e al tempo stesso sono talmente nevrotici e frettolosi che non permettono al cane di fare ciò che è il motivo per cui l'hanno portato fuori.
E poi, spiegatemi PERCHE' LO TIRANO. Anche solo se si ferma ad annusare. Se rallenta. Se incontra un collega canino che gli scodinzola amichevole.
Forse il cane, costretto nell'appartamento del padrone nello smog di una città piena di rumore non dà abbastanza al suo umano? (Sì, meglio umano che padrone, il padrone non dovrebbero averlo neanche i cani).
Forse l'umano non è abbastanza gratificato dall'amore incondizionato del suo cane, che gli vuol bene solo in cambio di un po' di cibo e subisce, continuando ad amarlo e a leccarlo amorevolmente e a consolarlo, i suoi malumori e le sue nevrosi, la sua casa in cui non può muoversi liberamente e secondo natura, il suo cibo in scatola, le sue gridate, le sue ansie, le sue paranoie (è la "complessità dell'uomo moderno", direbbe qualcuno) e anche le sue tirate di guinzaglio?
Penso che certi umani dovrebbero essere messi loro, al guinzaglio. E quando cercano di fermarsi da qualche parte, energicamente strattonati. Dal loro stesso cane. Che avrebbe tutti i diritti, lui sì, di essere nevrotico, paranoico, e, soprattutto, incazzato.
Ma chiedo scusa ai cani, tutti i cani, perchè il loro cuore non potrebbe mai concepire un guinzaglio. Il cuore dell'uomo, invece, sì.