giovedì 11 marzo 2010

Sburocrazia sanitaria


Sono andata a fare l’esame delle urine.
Il mio medico della mutua mi aveva prescritto per la precisione esame delle urine e urocultura con ATB. ATB significa antibiogramma. L’antibiogramma è quella cosa in cui si dice a quali particolari antibiotici i germi che sono stati rintracciati nelle tue urine sono sensibili e a quali no. Serve per prescriverti una cura mirata. Così puoi prendere a cannonate i vari pseudomonas, proteus mirabilis, escherichia coli, e tutti quegli altri simpatici personaggi a cui piace abitare abusivamente le urine degli umani.
Praticamente uno sfratto sanitario.
Ho scoperto che, come negli sfratti umani, anche per gli sfratti sanitari esiste una burocrazia, che, in definitiva, fa più gl’interessi degli sfrattandi che quelli dell’umano proprietario della vescica e di tutte le sue pertinenze.
Adesso vi spiego.
Mi sono presentata alla reception della clinica dove fanno le analisi, portandomi dietro il mio bicchierino con le urine del mattino, che cercavo di nascondere fra le mani perché io appartengo ancora a quella categoria di persone che si vergognano di far sapere che fanno pipì e altre cosine. Fissando il mio bicchierino, l’impiegata mi squadra seria da dietro il monitor del computer, e mi fa: “Ce l’ha le urine?”, rispondo “Sì”, dice “è il primo getto o il secondo getto?”.
Oddio. La guardo allarmata. Il medico mi aveva soltanto detto di pisciare in un contenitore a bicchierino invece che in una provetta. Ero sicura di aver fatto tutto per benino (io sono una perfezionista).
Vedendomi in palese difficoltà, l’impiegata cerca di venirmi incontro.
“Per l’esame delle urine bisogna raccogliere il primo getto in un contenitore non sterile”. Guarda di nuovo il mio bicchierino con occhio critico e mi chiede, con tono inquisitorio: “Quello è il primo o il secondo getto?”.
Oddioddio. Superando la sconcertante sensazione di sentirmi un incrocio fra uno spruzzatore per profumi ed un idrante da giardino, timidamente rispondo “Il primo”. E lei, implacabile: “quello va bene per l’esame delle urine, ma non per l’urocultura”. La guardo. Un po’ di anni fa, nella stessa clinica, ho fatto qualche milione di uroculture con esame delle urine e ATB e nessuno ha mai sindacato l’ordine degli spruzzi. Mi prende una vaga inquietudine, che diventa panico quando l’impiegata sentenzia il rinvio dell’urocultura alla mattina successiva, previa nuova raccolta delle urine, secondo getto, in contenitore sterile. “Lo porti direttamente in sala prelievi”, aggiunge, conciliante.
Non dico che ho passato una notte insonne chiedendomi che differenza passa fra il primo e il secondo spruzzo, e come distinguerli tra loro (quanto è lungo il primo spruzzo? Posso decidere io, a piacere? O devo farlo misurare dallo specialista? E se per caso lo faccio troppo lungo? O troppo corto??).
Non dico che non ho ancora capito quali sono “le prime urine del mattino” (io di notte mi alzo dalle due alle quattro volte per fare la pipì, e dalle quattro in poi del mattino mi attanaglia il dubbio atroce di non aver fatto nel bicchierino la prima urina del mattino, oppure di aver fatto nel bicchierino la seconda, quella sbagliata - ma non era la seconda, quella giusta, nel bicchierino??).
La mattina dopo, fugati con maturità stoica tutti i dubbi che mi avevano funestato la notte precedente, porto con timore reverenziale il secondo bicchierino, secondo spruzzo, direttamente in sala prelievi. Mentre deposito con cura religiosa il mio bicchierino nella griglia dei contenitori, sento l’infermiera della saletta accanto che, con piglio da marine, apostrofa l’analizzando di turno con un “ma qui c’è segnata una sola analisi, e lei mi porta due contenitori…!”.
Lo ammetto, ho avuto paura e sono fuggita.

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