martedì 30 marzo 2010
Maestri spirituali
Nella mia vita, ho avuto quattro maestri spirituali più uno.
J. Krishnamurti mi ha insegnato che vivere di seconda mano, come normalmente fa l’essere umano, non è vivere.
Sai Baba mi ha insegnato che l’amore è l’essenza della vita.
Osho mi ha insegnato l’integrità.
Swami Roberto mi sta insegnando Dio.
Il “più uno” è stato il mio cane, Coke, detto Coccolino, un piccolo, grasso, adorabile incrocio di bassotto e lupo.
Non aveva bisogno di parlare. Bastava guardarlo negli occhi, e Dio era lì.
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L'amore non viene per sistemarci
L’amore non viene per sistemarci.
L’amore non viene per darci sicurezza, protezione, non viene per omologare la nostra vita a degli schemi comportamentali decisi da altri per non sentirci “sbagliati”.
L’amore non è la toppa che si mette per coprire i buchi delle nostre paure.
L’amore viene per risvegliarci dal nostro sonno, per metterci in crisi, per precipitarci al centro del nostro essere costringendoci a guardarci dentro. Viene per tirar fuori l’uomo e la donna che sono dentro di noi e per farli risplendere nel loro essere divino.
L’amore non è una maschera dietro cui nascondere i nostri difetti e le nostre mancanze, ma ciò che ci toglie per sempre tutte le maschere.
Fuggiamo l’amore perché abbiamo paura di soffrire, ma il finto amore, il simil – amore, quello che cerchiamo per sentirci sicuri e socialmente integrati, per sfuggire alla solitudine, ci rende solo più soli, più ansiosi, più confusi e nevrotici.
Ma l’amore non è una fuga. L’amore è vita, è coraggio, è attraversare la propria paura lasciandola andare come un vestito smesso.
martedì 23 marzo 2010
Illuminazione e compassione
Siamo come gli atomi.
Mi spiego. Un atomo può essere visto e descritto a vari livelli. Per esempio, al livello più superficiale, l’atomo può essere definito come la particella elementare che costituisce la materia: si sa che tutti i corpi sono costituiti da atomi. Se si approfondisce, però, si scopre che l’atomo è a sua volta costituito da particelle più piccole, disposte in un certo modo: protoni e neutroni nel nucleo, e elettroni alla periferia. Si scopre inoltre che fra il nucleo e la periferia c’è una gran quantità di spazio vuoto. Se si approfondisce ancora di più, vien fuori che le particelle dell’atomo sono composte di altre micro particelle in cui la gran parte dello spazio è sempre vuoto, e via via scomponendo salta fuori che la “sostanza” che compone di sé l’universo altro non è che spazio vuoto.
Quando dico che gli uomini siamo come gli atomi, voglio dire che possiamo essere letti a vari livelli, ognuno più profondo del precedente, e ognuno, nei suoi limiti, vero. L’uomo è fatto di materia, perché ha un corpo. In questo senso, è corretto dire che l’uomo è il suo corpo, poiché, al livello della materia, si manifesta in forma fisica. È anche vero che l’uomo si manifesta anche in forma non – fisica, come emozioni e come pensieri. In questo senso, appare corretto dire che l’uomo è le sue emozioni e i suoi pensieri. Scendendo sempre più in profondità, scopriamo che l’uomo è spirito incarnato in un corpo – mente. È quindi corretto affermare che l’uomo è spirito, e, se identifichiamo lo spirito con Dio, possiamo dire che l’uomo è Dio.
Tutte queste affermazioni sono vere, ognuna nel suo livello: l’uomo è il suo corpo, l’uomo è la sua mente, l’uomo è spirito incarnato, l’uomo è Dio. C’è una progressione, però, in tutto questo. Man mano che si indaga e si scende in profondità, la verità si affina, potrei dire che si fa più vera.
Lo stesso accade per tutto ciò che è, siano situazioni, concetti, persone.
Esistono vari livelli di lettura, e sono tutti veri, ognuno nel suo livello.
Questo spiega perché una certa realtà viene vissuta ed interpretata e compresa in modi diversi da persone diverse: dipende dal grado di profondità cui ognuno è arrivato nel suo percorso interiore; se la verità ha dieci livelli e io sono arrivato al livello tre di evoluzione, non sarò in grado di percepire il livello quattro della verità, e il cinque e il sei, via via fino al dieci. Vuol dire che sono sul percorso, e continuando a scendere dentro di me verrà un giorno che arriverò fino al livello dieci.
Il livello dieci è quello che i mistici chiamano illuminazione. Da lì, è possibile vedere tutti gli altri livelli, e comprendere chi non riesce a vedere oltre il punto dove è arrivato. Questo si chiama compassione: la comprensione profonda dell’altro, perché si è fatto lo stesso percorso e si riconoscono le stesse debolezze, gli stessi problemi, la stessa paura.
mercoledì 17 marzo 2010
Chakravartin
Avete notato come ci sia la tendenza nella nostra società a voler emergere, apparire, esibirsi, essere in qualche modo speciale?
E questo accade in ogni categoria e ad ogni livello: l’operaio o l’impiegato tentano il Grande Fratello o Affari tuoi, il medico vuole diventare a tutti i costi un Barnard, l’avvocato vuol diventare Capo del Governo, l’imprenditore vuole dare la scalata al mercato globale e diventare monopolista nel suo ramo d’attività.
Nessuno è veramente contento di se stesso, vuole sempre essere o avere qualcosa di più, qualcosa di meglio, qualcosa che lo distingua dagli altri.
Mi si può obiettare che è sacrosantamente giusto cercare di migliorarsi. Sono assolutamente d’accordo. Ma in questo caso, non si tratta di migliorarsi, ma di continuare a correre dietro al proprio ego impazzito, allontanandosi infinitamente da se stessi: non è un miglioramento, è un peggioramento.
Inoltre, in un mondo in cui tutti si sforzano disperatamente di differenziarsi e di essere speciali, la conseguenza inevitabile è la massificazione: la trasgressione di massa, l’esibizione di massa, masse di persone “speciali” che guarda caso raccontano tutte di sé la stessa storia – fotocopia.
Così, sull’onda di questa riflessione, mi vengono in mente due persone davvero speciali, due maestri spirituali vissuti in epoche molto lontane tra loro. Quello più vicino a noi, un giorno degli anni ’70, ha raccontato ai suoi discepoli una storia tramandata sul più antico.
Eccola:
“[Buddha] era seduto sotto un albero quando un astrologo gli si avvicinò – era molto perplesso, perché aveva visto le orme lasciate dal Buddha sulla sabbia bagnata e non era riuscito a credere ai suoi occhi. Tutti i testi che aveva studiato nell’arco della sua vita gli avevano parlato di particolari segni, presenti sui piedi dell’uomo che governa il mondo – un chakravartin – il signore dei sei continenti, il sovrano di tutta la Terra. Aveva visto quelle impronte sulla sabbia bagnata, lungo la sponda del fiume, e tutti quei simboli erano evidenti al punto che era rimasto allibito. O tutte le scritture da lui studiate erano sbagliate e lui aveva sprecato tutta la sua vita nello studio dell’astrologia … infatti, come era possibile che in un pomeriggio così afoso, in un villaggio così misero e sporco, si trovasse un chakravartin, che in più camminava a piedi nudi, sulla sabbia ardente?
Seguì quelle orme, per cercare l’uomo che le aveva lasciate. Trovò Buddha seduto sotto un albero, e divenne ancor più perplesso. Il volto era di un chakravartin – la grazia, la bellezza, il potere, l’aura – ma l’uomo era un mendicante, e aveva con sé la ciotola delle elemosine!
L’astrologo toccò i piedi a Buddha e gli chiese: ‘Chi sei, o signore? Mi hai lasciato perplesso. Dovresti essere un chakravartin, il sovrano del mondo. Cosa fai qui, seduto sotto un albero? O tutti i miei libri di astrologia sono sbagliati, oppure io ho delle allucinazioni e tu non sei veramente presente’.
Buddha disse: ‘I tuoi testi sono esatti, ma esiste qualcosa che non appartiene ad alcuna categoria, neppure alla categoria dei chakravartin. Io sono, ma non sono nessuno in particolare’.
L’astrologo disse: ‘Mi lasci ancor più perplesso. Come puoi essere senza essere nessuno in particolare? Devi essere un dio che è venuto a visitare la Terra – lo posso vedere nei tuoi occhi!’.
Buddha disse: ‘Non sono un dio’.
L’astrologo disse: ‘Allora devi essere un gandharva, un musico celeste’.
Buddha disse: ‘No, non sono nemmeno un gandharva’.
L’astrologo chiese ancora: ‘Allora sei un re sotto mentite spoglie? Chi sei? Non puoi essere un animale, non puoi essere un albero, non puoi essere una roccia – chi sei con esattezza?’.
E la risposta che Buddha diede è incredibilmente importante, e va compresa. Disse: ‘Sono solo un Buddha – sono semplice consapevolezza, null’altro che questo. Non appartengo ad alcuna categoria. Ogni categoria è una identificazione e io non ho alcuna identità’”. (Tratto dal libro: Osho, La mente che mente – Commenti al Dhammapada di Gautama il Buddha, Universale Economica Feltrinelli, 2006, pp. 225 – 226).
Vogliamo essere speciali, semplicemente perché non siamo, quando per cambiare il mondo basterebbe essere, semplicemente.
lunedì 15 marzo 2010
Potere femminile
Adesso lo chiedo alle donne.
Visto che per voi gli uomini sono stronzi bugiardi, stronzi traditori, stronzi vigliacchi, stronzi egoisti, stronzi mammoni, stronzi infantili, stronzi carrieristi, stronzi tirchi, stronzi musoni, stronzi menefreghisti, stronzi cafoni, stronzi opportunisti, stronzi approfittatori, stronzi che-pensano-solo-a-quello; visto, insomma, che per voi gli uomini sono solo degli stronzi, perché vi stupite che restino sempre a galla?
Siete voi, che ce li tenete.
P.S. Avrete notato che, rispetto a quella delle donne rompicoglioni, la varietà dei maschi stronzi è molto più ristretta. Questo naturalmente non dipende dal fatto che ci siano più donne rompicoglioni che maschi stronzi. Significa solo che il maschio è decisamente più limitato.
giovedì 11 marzo 2010
Sburocrazia sanitaria
Sono andata a fare l’esame delle urine.
Il mio medico della mutua mi aveva prescritto per la precisione esame delle urine e urocultura con ATB. ATB significa antibiogramma. L’antibiogramma è quella cosa in cui si dice a quali particolari antibiotici i germi che sono stati rintracciati nelle tue urine sono sensibili e a quali no. Serve per prescriverti una cura mirata. Così puoi prendere a cannonate i vari pseudomonas, proteus mirabilis, escherichia coli, e tutti quegli altri simpatici personaggi a cui piace abitare abusivamente le urine degli umani.
Praticamente uno sfratto sanitario.
Ho scoperto che, come negli sfratti umani, anche per gli sfratti sanitari esiste una burocrazia, che, in definitiva, fa più gl’interessi degli sfrattandi che quelli dell’umano proprietario della vescica e di tutte le sue pertinenze.
Adesso vi spiego.
Mi sono presentata alla reception della clinica dove fanno le analisi, portandomi dietro il mio bicchierino con le urine del mattino, che cercavo di nascondere fra le mani perché io appartengo ancora a quella categoria di persone che si vergognano di far sapere che fanno pipì e altre cosine. Fissando il mio bicchierino, l’impiegata mi squadra seria da dietro il monitor del computer, e mi fa: “Ce l’ha le urine?”, rispondo “Sì”, dice “è il primo getto o il secondo getto?”.
Oddio. La guardo allarmata. Il medico mi aveva soltanto detto di pisciare in un contenitore a bicchierino invece che in una provetta. Ero sicura di aver fatto tutto per benino (io sono una perfezionista).
Vedendomi in palese difficoltà, l’impiegata cerca di venirmi incontro.
“Per l’esame delle urine bisogna raccogliere il primo getto in un contenitore non sterile”. Guarda di nuovo il mio bicchierino con occhio critico e mi chiede, con tono inquisitorio: “Quello è il primo o il secondo getto?”.
Oddioddio. Superando la sconcertante sensazione di sentirmi un incrocio fra uno spruzzatore per profumi ed un idrante da giardino, timidamente rispondo “Il primo”. E lei, implacabile: “quello va bene per l’esame delle urine, ma non per l’urocultura”. La guardo. Un po’ di anni fa, nella stessa clinica, ho fatto qualche milione di uroculture con esame delle urine e ATB e nessuno ha mai sindacato l’ordine degli spruzzi. Mi prende una vaga inquietudine, che diventa panico quando l’impiegata sentenzia il rinvio dell’urocultura alla mattina successiva, previa nuova raccolta delle urine, secondo getto, in contenitore sterile. “Lo porti direttamente in sala prelievi”, aggiunge, conciliante.
Non dico che ho passato una notte insonne chiedendomi che differenza passa fra il primo e il secondo spruzzo, e come distinguerli tra loro (quanto è lungo il primo spruzzo? Posso decidere io, a piacere? O devo farlo misurare dallo specialista? E se per caso lo faccio troppo lungo? O troppo corto??).
Non dico che non ho ancora capito quali sono “le prime urine del mattino” (io di notte mi alzo dalle due alle quattro volte per fare la pipì, e dalle quattro in poi del mattino mi attanaglia il dubbio atroce di non aver fatto nel bicchierino la prima urina del mattino, oppure di aver fatto nel bicchierino la seconda, quella sbagliata - ma non era la seconda, quella giusta, nel bicchierino??).
La mattina dopo, fugati con maturità stoica tutti i dubbi che mi avevano funestato la notte precedente, porto con timore reverenziale il secondo bicchierino, secondo spruzzo, direttamente in sala prelievi. Mentre deposito con cura religiosa il mio bicchierino nella griglia dei contenitori, sento l’infermiera della saletta accanto che, con piglio da marine, apostrofa l’analizzando di turno con un “ma qui c’è segnata una sola analisi, e lei mi porta due contenitori…!”.
Lo ammetto, ho avuto paura e sono fuggita.
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Trasmutazione del maschio
Cari maschi, vorrei farvi una domanda.
Seria.
Premesso che le donne intelligenti vi rompono i coglioni, le donne cretine vi rompono i coglioni, le donne fedeli vi rompono i coglioni, le donne infedeli vi rompono i coglioni, le donne gelose vi rompono i coglioni, le donne frigide vi rompono i coglioni, le donne buone vi rompono i coglioni, le donne isteriche vi rompono i coglioni, le donne – mamme vi rompono i coglioni, le donne – amanti vi rompono i coglioni, le donne – mogli vi rompono i coglioni, le donne serie vi rompono i coglioni, le donne consapevoli vi rompono i coglioni, le donne ignoranti vi rompono i coglioni, le donne infantili vi rompono i coglioni, le donne aggressive vi rompono i coglioni, le donne apprensive vi rompono i coglioni, le donne menefreghiste vi rompono i coglioni, le donne sensibili vi rompono i coglioni; premesso insomma per farla breve che tutte le donne vi rompono i coglioni, vi domando: sarà forse tutta questa rottura di coglioni il motivo per cui sta tanto aumentando il numero di maschi che li hanno perduti?
Non è colpa mia
Avete mai notato come gli esseri umani tendano sempre a scaricare la propria responsabilità? Qualunque cosa accada, è sempre colpa di qualcun altro.
È colpa del governo, del clima, della società, del vicino di casa stronzo, del cane che abbaia, dello stupratore seriale.
È colpa della legge, della polizia, dell’imperialismo americano, del deficiente che si è preso la precedenza che gli dava il codice della strada invece di lasciar passare me per primo.
C’è sempre qualcuno che ci provoca, che ci fa del male, che ci spia, che ci tradisce, che ci spettegola.
Ma se ognuno continua a dare la colpa agli altri di tutto quello che non va nella propria vita e nel mondo, di chi è la colpa? Se siamo tutti innocenti, perché tutto va a rotoli?
È molto comodo e apparentemente liberatorio scaricare sempre la responsabilità sugli altri: c’impedisce di vedere il nostro schifo. E non v’illudete, c’è dello schifo in ognuno di noi, senza eccezioni.
Ma il vero problema non è lo schifo interiore, quello si può ripulire. I maestri spirituali di ogni tempo e di ogni tradizione ci hanno ampiamente insegnato come fare.
Il vero problema è che non accettiamo di guardarci dentro, perché questo comporterebbe un impegno notevole, una notevole onestà verso noi stessi (che siamo quelli a cui mentiamo più che a chiunque altro) e soprattutto, in questi tempi in cui conta solo l’esteriorità, la distruzione dell’immagine che ci siamo costruiti di noi.
Allora, invece di fare pulizia, prendiamo i maestri spirituali e li perseguitiamo, li calunniamo, li sputiamo, li torturiamo, li crocefiggiamo, li avveleniamo, li facciamo a pezzi.
Adesso capisco perché sono stati eliminati i manicomi. In un mondo di pazzi, o chiudi i sani, o chiudi i manicomi.
Libertà
Dovremmo imparare dai gatti.
Mi riferisco nello specifico alla libertà.
Un gatto non sarà mai uno schiavo, di niente e di nessuno.
Chi ha o ha avuto un gatto lo sa.
Una mia carissima amica diceva che non era lei ad avere il gatto: era il suo gatto che aveva lei. È così che funziona. Il gatto è l’essere più libero del creato. Fa quello che vuole, quando vuole e come vuole. Voi v’illudete che non sia così. Farvelo credere fa parte della sottile strategia del gatto. Il gatto piuttosto si fa ammazzare, ma non molla ciò che è suo di diritto. Il gatto sa che la libertà è il bene più prezioso che esiste in natura. Per questo in ogni momento della sua vita onora la sua libertà. Potrei dire che la vita stessa del gatto è votata alla celebrazione della libertà.
Imparare dal gatto significa capire che la libertà è una condizione mentale e non fisica, una qualità dell’anima, assoluta ed imprescindibile per ogni creatura. Significa capire che la dignità è la qualità con la quale ogni creatura è chiamata a difendere la sua libertà, e che gli animali (tutti, non solo i gatti) conoscono questa qualità che molti umani hanno dimenticato per inseguire una vita comoda,una vita ricca, una vita tranquilla, una vita sicura, una vita perbene, e sono diventati schiavi di altri umani, o del denaro o della paura.
Ma senza libertà, e senza dignità, non c’è più uomo, non c’è più anima, non c’è più Dio.
Non c’è più niente.
Sembro, dunque sono
Cercavo solo uno shampoo.
Un normalissimo, comunissimo, imbecillissimo shampoo per capelli grassi (io ho i capelli grassi).
Ho girato due supermercati del centro cittadino. Due. Per trovare un normalissimo, comunissimo, imbecillissimo shampoo per capelli grassi.
L’ho trovato nascosto nell’ultimo scaffale in basso, che mi guardava con timidezza.
Poverino, lo capisco. Sopra di lui, file di shampi (lo so, che non si scrive così, il plurale, ma lasciatemelo fare, per piacere) effetto liscio per trasformare i capelli ricci in capelli stirati, effetto crespo per trasformare i capelli lisci in capelli ricci, effetto seta per rendere lucidi capelli opachi, effetto perla per rendere iridescenti i capelli normali, effetto meches per far durare più a lungo i colpi di sole, effetto idratante per nutrire i capelli secchi, effetto lucentezza per far brillare i capelli spenti, file e file di shampi di tutte le marche e di tutti i colori, che si affacciavano impettiti come soldatini dagli scaffali, e quasi sembravano gridarmi in coro, con aria vagamente aggressiva, comprami-comprami-comprami.
Quando ero bambina (non centocinquant’anni fa, solo una trentina), esistevano due – tre tipi di shampoo: capelli normali, antiforfora, capelli delicati.
Che cosa ci è successo?
Siamo talmente scontenti di noi, ci rifiutiamo talmente profondamente, che anche un banalissimo shampoo ci parla delle nostre imperfezioni e ci promette di correggerle: hai i capelli crespi? Allisciali, altrimenti sei sbagliato; hai i capelli lisci? Falli diventare ricci, se resti così fai schifo; e poi rendi il più finto naturale possibile la tinta finta che ti fai per correggere quella naturale, così sembra che siano capelli veri invece il biondo è finto, ma non è importante se siano veri o finti, quello che conta è che tutto sembri vero. SEMBRI vero.
Pensateci.
Egoismi
Pensavo.
Pensavo a quanto sia sottile l’egoismo dell’uomo. Tanto sottile che in certi casi quasi diventa impossibile vederlo, eppure c’è, come una nota di fondo sempre uguale, che si mescola ai rumori del mondo e ci abitua a sé tanto da non accorgercene neanche.
Pensavo che il piccolo egoismo, come il grande, contribuisce al malessere del mondo. Per esempio: quando mi aspetto che il mio amico mi capisca, mi dia aiuto, disponibilità, conforto, consiglio, perché è un amico e gli amici, si sa, si vedono nel momento del bisogno. Certo, del mio. Perché quando invece è l’amico che va capito, aiutato, confortato, consigliato, io non ho mai tempo, sono sempre in un periodo incasinato, mi è morto il cane, il gatto, il nonno, il portinaio, ho distrutto la macchina in un incidente in cui naturalmente non ero io il responsabile, il mio partner mi tradisce e la zuppa si è attaccata alla pentola.
Azzo.
Oppure. Il mio amico mi sta dicendo qualcosa. Me ne accorgo perché mi sta di fronte e mi guarda muovendo le labbra. Di solito quando fa così significa che sta cercando di comunicarmi qualcosa. Allora perché invece di ascoltarlo e magari rispondergli in un modo che gli faccia capire che sto seguendo quello che dice gli do sulla voce parlando di tutt’altro come stessi cambiando canale alla radio perché la trasmissione non mi piace? O subisso io il mio amico senza permettergli di inserire nemmeno un’interiezione fra una parola e l’altra del mare di imbecillità in cui lo sto sommergendo, impedendomi di tirare il fiato negli intervalli che non ci sono?
Tanti piccoli egoismi reiterati ogni giorno fanno un unico grande egoismo, che affoga la terra. È proprio quello che sta succedendo, nel caso qualcuno ancora non se ne fosse accorto.
Pardon, forse gli si è bucata una gomma mentre andava ad un importantissimo appuntamento, ed è troppo impegnato ad inquinare l’aria di sante madonne, perché non gliene va mai bene una in questo mondo di m…
Il miracolo c'è
Eppure.
Nonostante lo schifo in cui quotidianamente nuotiamo, nonostante lo schifo che continuamente produciamo con le nostre immondizie mentali che instancabilmente spargiamo nello spazio in cui la Vita ci fa l’immenso ed incommensurabile dono di se stessa, nonostante la nostra brutalità ed inconsapevolezza, siamo circondati dal miracolo.
Il miracolo ci viene incontro al mattino, sotto forma di un nuovo giorno da vivere, sotto la forma del cielo, di stormi d’uccelli, di fronde d’alberi che si stagliano con i loro rami nell’infinito. Il miracolo occhieggia nei piatti pieni di cibo che abbiamo davanti quando mangiamo, nel profumo del caffè con cui chiudiamo un pasto, o che dividiamo con un amico incontrato per caso, che non vedevamo da tempo e che è lui stesso il miracolo del giorno.
Il miracolo è il canto di un uccello solitario nel silenzio che precede l’alba in una città ancora addormentata, il cuore che ci batte nel petto un altro giorno ancora, un raggio di sole che fende il gelo invernale, la luce rosa di un tramonto dietro nuvole bianche, se solo guardassimo il cielo, ogni tanto, uscendo dall’ufficio, dalla fabbrica, dal negozio.
Il miracolo è la nuova possibilità che ogni giorno, ogni attimo l’esistenza ci mette davanti, per cambiare tutto, per realizzare i nostri sogni, per rendere il mondo migliore; è la forza di andare avanti quando non ne possiamo più, il coraggio di vivere quando sarebbe più facile morire, la speranza che prima o poi lo schifo finirà.
Il miracolo è la dolcezza che senti scorrere nel corpo come sangue, la gioia che ti attraversa senza un motivo, e ti fa sentire così leggero che senti che potresti volare, se solo ti dessi il permesso di farlo.
Il miracolo è il fiume che scorre e prende il colore del cielo sopra di sé, il cane che annusa una pozzanghera, è la fine del temporale, il vento caldo delle Alpi che ti scompiglia i capelli.
Il miracolo è il cellulare che squilla e ci parla con la voce di chi amiamo, magari quando meno ce lo aspettiamo, per ricordarci che, anche se noi lo dimentichiamo continuamente, siamo infinitamente amati da quella stessa Vita che insultiamo tutti i giorni con la nostra scontentezza e con la nostra incapacità di vedere i miracoli.
martedì 9 marzo 2010
Piena responsabilità
Siamo tutti responsabili di ciò che accade nel mondo.
Non è un'opinione, è un dato di fatto.
Quando i prepotenti fanno quello che vogliono e gli altri, le pecore, girano la faccia dall'altra parte, perchè altrimenti rischiano anche loro. Perchè hanno famiglia. Perchè se no perdono il lavoro. Perchè hanno PAURA. Così i prepotenti diventano sempre di più, grazie all'omertà e alla paura delle pecore.
Ma anche in quello che mangiamo. Gli animali vengono torturati, sfruttati e uccisi per fornire a noi l'arrosto, il latte del mattino, le uova. Quanto c'è della responsabilità di ognuno di noi nella sofferenza degli animali di cui ci nutriamo? E potremmo benissimo vivere di cibo non animale: niente domanda, niente offerta, niente tortura.
Ma anche il cibo non animale, con quali mezzi arriva al nostro piatto? Penso agli extracomunitari trattati come vacche da macello nella raccolta dei pomodori o degli agrumi. Anche in questo siamo responsabili. Eppure, non possiamo smettere di mangiare, o di vestirci. E quando non ti puoi permettere il made in Italy perchè sei disoccupato o sottopagato, compri la roba cinese che viene fatta da cinesi - schiavi nei laboratori - dormitori. E sei responsabile. Ma anche quello che trovi nelle boutique spesso è made in China. Lo sfruttamento avviene direttamente in loco. E lo paghi anche caro.
Quello che voglio dire, è che abbiamo ridotto la società ad un tale lurido marciume che ormai non è più possibile tenersi fuori dallo schifo. E' come essere nella tazza di un water otturato. Al massimo, puoi tapparti la bocca per evitare di bere.
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mercoledì 3 marzo 2010
Cani al guinzaglio
Ok.
Spiegatemi perchè ci sono persone che portando a spasso il loro cane lo tirano quando si ferma per fare la sua pisciatina contro un muro o la ruota di un'automobile o qualche altro posto interessante.
Spiegatemi perchè lo portano fuori per fare la "passeggiatina igienica" e al tempo stesso sono talmente nevrotici e frettolosi che non permettono al cane di fare ciò che è il motivo per cui l'hanno portato fuori.
E poi, spiegatemi PERCHE' LO TIRANO. Anche solo se si ferma ad annusare. Se rallenta. Se incontra un collega canino che gli scodinzola amichevole.
Forse il cane, costretto nell'appartamento del padrone nello smog di una città piena di rumore non dà abbastanza al suo umano? (Sì, meglio umano che padrone, il padrone non dovrebbero averlo neanche i cani).
Forse l'umano non è abbastanza gratificato dall'amore incondizionato del suo cane, che gli vuol bene solo in cambio di un po' di cibo e subisce, continuando ad amarlo e a leccarlo amorevolmente e a consolarlo, i suoi malumori e le sue nevrosi, la sua casa in cui non può muoversi liberamente e secondo natura, il suo cibo in scatola, le sue gridate, le sue ansie, le sue paranoie (è la "complessità dell'uomo moderno", direbbe qualcuno) e anche le sue tirate di guinzaglio?
Penso che certi umani dovrebbero essere messi loro, al guinzaglio. E quando cercano di fermarsi da qualche parte, energicamente strattonati. Dal loro stesso cane. Che avrebbe tutti i diritti, lui sì, di essere nevrotico, paranoico, e, soprattutto, incazzato.
Ma chiedo scusa ai cani, tutti i cani, perchè il loro cuore non potrebbe mai concepire un guinzaglio. Il cuore dell'uomo, invece, sì.
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