domenica 27 febbraio 2011
Coglionazzi 2
Non ci sono fonti ufficiali che confermino la morte di Ben Alì.
Ok.
Non cambia nulla.
Ben Alì, o Mubarak, o Gheddafi o qualunque altro coglionazzo della loro risma: hanno vissuto una lurida vita succhiandosi quelle degli altri, hanno accumulato denaro in quantità assurde per una persona sola, ma utili a sfamare l’intero genere umano, si sono fatti odiare e deridere, hanno disseminato il loro cammino di fame e di sangue. Alla fine, come tutti, anche loro prima o poi tirano le cuoia. Senza dignità, come hanno sempre vissuto, e con le mani sporche, e vuote.
Coglionazzi
C’è qualcosa di grottesco, se non addirittura di comico, nella fine di Ben Alì, l’ex dittatore tunisino.
Uno che per tutta la vita ha perseguito ed esercitato un potere senza scrupoli, derubando e affamando i suoi conterranei, ha accumulato beni per un valore difficilmente concepibile ad un essere umano normale che vive con una media di mille – millecinquecento euro al mese se è un “fortunato “ occidentale e con molto, molto meno se appartiene alla stragrande maggioranza dell’umanità; uno che ha sputtanato (vi prego, passatemi il termine che ci sta tutto) ha sputtanato la sua vita facendo il delinquente in grande stile (notare: il delinquente di piccolo cabotaggio è unanimemente considerato uno sfigato; quello grosso, ma molto molto grosso, si tira sempre dietro aggettivi che richiamano comunque, se non rispetto, quanto meno un’intrigante attrattiva; pensate a Vallanzasca, che con i suoi quattro ergastoli e 260 anni di carcere per gli assassinii, sequestri, rapine che ha sulla coscienza, viene celebrato in un film che ha per sottotitolo “gli angeli del male”; pensate al “mito” Al Capone, e a tutta la letteratura e la cinematografia che hanno trasformato il genocidio degli indiani d’America in un’epopea), uno, quindi, che suscitava paura, rispetto e considerazione, appena costretto a darsela a gambe dai tunisini incazzati, non fa neanche in tempo ad agguantare il malloppo messo via in anni di onorati sacrifici (degli altri), che schiatta quasi immediatamente.
Certo, mi potete dire, uno che vive per il potere, quando lo perde muore. Ci sta. Ma questo rende la cosa ancora più grottesca. Ma come: tutta la tua vita buttata nel water ammazzando – imprigionando – derubando – sfruttando; accumuli un tesoro pazzesco, e alla fine ci resti secco come un minchione? Senza nemmeno il tempo di goderti l’esilio dorato che ti eri faticosamente costruito? Senza nemmeno rimbalzare in fughe rocambolesche fra protezioni eccellenti gentilmente offerte da altri caimani come te? Senza l’epopea dell’esule, che muore di dolore lontano dalla terra natia (questo tra l’altro, visto che si parla di Tunisia, mi ricorda qualcosa …)?
Ma come fa la gente a non capire che vivere per il potere e il denaro è demenziale, autolesionistico, e, in fondo, se pensate a Ben Alì, anche ridicolo?
Eccolo lì, adesso, il coglionazzo: tre metri di terra sulla faccia, e la festa è finita.
martedì 30 novembre 2010
Una botta di vita
Ci risiamo.
Stephen Hawking ha detto che potrebbe esistere vita extraterrestre.
Ha detto anche che, se questo fosse vero, potrebbe essere un pericolo per l’umanità. Gli extraterrestri potrebbero essere cattivi, e avere progetti di conquista sulla Terra.
Ma dico.
A parte che l’idea che possa esserci qualche creatura più feroce dell’essere umano moderno mi sembra francamente risibile, e ancora più risibile che possa esserci qualcuno che faccia male all’umanità più di quello che lei sta facendo proprio adesso a se stessa.
Ma perché dobbiamo sempre guardare il lato brutto, e cercarne uno ancora peggiore?
Perché non portare una botta di vita in questo mondo di morti?
E se gli extraterrestri fossero BUONI?
E se nell’uomo moderno ci fosse ancora una scintilla di umanità, di comprensione, di DIO?
E se fossimo capaci di rendere il mondo un posto FANTASTICO?
E se in noi ci fosse ancora la capacità di sorprenderci, di amare, di guardarci intorno con gli occhi di un bambino?
E se quelli che sognano un mondo migliore non fossero solo dei sognatori?
E se un giorno apparissero nel cielo Buddha e Gesù e non fosse solo un’illusione collettiva?
E se gli uomini, anche se quella fosse un’illusione collettiva, collettivamente prendessero simultaneamente ad amarsi e a rispettarsi?
Se la smettessero di farsi la guerra?
Se la smettessero di essere sempre incazzati, e scoprissero che sotto quella rabbia, proprio dentro di loro, proprio dentro il più incazzato di loro quindi figurati negli altri, ci fosse una gioia infinita che neanche riusciamo a immaginarci?
E se fossimo capaci di immaginarcela, quella gioia?
E se, una volta immaginata, fossimo capaci di manifestarla all’esterno?
E se quella gioia ci facesse ripulire il mondo, e ricoprirlo di fiori e di frutti, di pace e di fratellanza?
PERCHE’ NO?
Diamoci una botta di vita!
ECCHECCAVOLO.
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martedì 12 ottobre 2010
Pace
Riporto di seguito le parole del Premio Nobel per la Pace 2010 Liu Xiaobo all’apertura del processo intentatogli per “incitamento alla sovversione del potere dello Stato”, il 23 dicembre 2009.
Per queste parole, e per la sua vita, ringrazio Liu a nome dell’umanità. E con lui ringrazio Gandhi, e Martin Luther King, e Nelson Mandela, e Aung San Suu Kyi, e tutte le Grandi Anime, famose e sconosciute, che hanno dato la loro vita per scuoterci tutti dal nostro sonno spirituale.
Grazie di ricordarci la nostra dignità di figli di Dio, che ci rende uomini, vivi, veri, liberi e non meccanismi perversi asserviti all’odio e alla paura.
“Il giugno 1989 ha segnato il punto di svolta nella mia vita. Prima, la mia carriera era stata una tranquilla cavalcata dal liceo al dottorato alla cattedra all’Università di Pechino, dov’ero popolare e ben accetto agli allievi. Contemporaneamente ero un intellettuale pubblico.
Negli anni 1980 avevo pubblicato articoli e libri di impatto, ero spesso invitato a parlare qua e là ed ero ospitato come visiting professor in Europa e negli Stati Uniti. Avevo però un impegno con me stesso: vivere con onestà, responsabilità e dignità. Di conseguenza, tornato dagli Stati Uniti per partecipare al movimento del 1989, sono stato incarcerato per ‘propaganda contro-rivoluzionaria e incitamento al crimine’, e da quel momento non sono più stato autorizzato a pubblicare o parlare in Cina. Per il semplice fatto di avere espresso opinioni diverse da quelle ufficiali e aver preso parte a un movimento pacifico e democratico, un professore perde la cattedra, uno scrittore il diritto di pubblicare e un intellettuale la possibilità di parlare in pubblico, il che è ben triste, sia per me come individuo sia per la Cina dopo tre decenni di riforme e aperture.
Le mie più drammatiche esperienze dopo il 4 giugno 1989 sono tutte legate ai tribunali; le due opportunità che ho avuto di parlare in pubblico mi sono state fornite dai due processi contro di me, quello del 1991 e quello attuale. Sebbene le accuse fossero diverse, nella sostanza erano identiche: reati di opinione.
Vent’anni dopo, le anime innocenti del 4 giugno non riposano ancora in pace e io, spinto sulla strada della dissidenza dalle passioni di quei giorni, dopo aver lasciato nel 1991 il carcere di Qincheng, ho perso il diritto di parlare apertamente nel mio Paese e l’ho potuto fare solo sui media stranieri, controllato da vicino per anni, rieducato con i lavori forzati e adesso ancora una volta portato in tribunale dai miei nemici dentro il regime. Ma ancora una volta voglio dire a quel regime che mi priva della mia libertà, che io rimango fermo a quanto dissi vent’anni fa nella mia ‘Dichiarazione del 2 giugno sullo sciopero della fame’: non ho nemici e non ho odio. Nessuno dei poliziotti che mi hanno controllato, arrestato e controllato, nessuno dei giudici che mi hanno processato e condannato, sono miei nemici. Mentre non posso accettare che mi abbiate sorvegliato, arrestato, processato o condannato, rispetto le vostre professioni e le vostre personalità. L’odio corrode la coscienza di una persona; la mentalità del nemico può avvelenare lo spirito di un Paese, istigarlo a una vita brutale e a lotte mortali, distruggere la tolleranza e l’umanità di una società, bloccare il progredire di una nazione verso la libertà e la democrazia. Spero perciò di saper trascendere le mie vicissitudini personali replicando all’ostilità del regime con l’amore…
Aspetto con ansia il momento in cui il mio Paese sarà terra di libera espressione, dove i discorsi di tutti i cittadini siano trattati allo stesso modo; dove valori, idee, opinioni politiche competano l’una con l’altra e coesistano pacificamente; dove le opinioni della maggioranza e della minoranza abbiano le stesse garanzie, in particolare siano pienamente rispettate e difese le idee politiche diverse da quelle di chi detiene il potere; dove tutti i cittadini possano esprimere le loro idee politiche senza paura e non siano mai perseguitati per le loro voci di dissenso. Spero di essere l’ultima vittima dell’inquisizione letteraria cinese e che dopo di me nessun altro sarà più incarcerato per aver detto quello che ha detto.”
(il testo di Liu Xiaobo è stato pubblicato da La Stampa del 9 ottobre 2010)
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lunedì 13 settembre 2010
Letterina
Caro Stephen Hawking,
ho letto sui giornali che, ritornando sulle tue posizioni di 22 anni fa, secondo le quali i tuoi studi ti avevano dimostrato che l’Universo non può esistere senza il postulato – Dio, oggi, in un tuo nuovo libro, hai affermato che Dio non esiste, il postulato – Dio non è più necessario all’esistenza dell’Universo perché, rispondendo alla domanda di Einstein, la Teoria unificata avrebbe una forza tale da determinare la sua propria esistenza senza bisogno di un creatore.
Così, vorrei porti alcune domande.
Ti sei mai chiesto se il concetto di Dio che ti hanno insegnato le religioni occidentali sia l’unico degno di essere preso in considerazione, anche solo per scartarlo con i mezzi della logica e della scienza?
Ti sei mai chiesto se Dio, invece che un’entità separata e determinante l’Universo, non sia invece l’Energia stessa che è l’Universo? Ti sei mai chiesto, insomma, se esiste un altro modo di intendere Dio? E se è così, ti sei chiesto se il fatto che l’Universo non ha bisogno di Dio perché la Teoria è sufficiente da sola a spiegare se stessa si verifica perché Dio è la Teoria stessa?
Ti sei mai chiesto cosa permette alla tua straordinaria intelligenza di riuscire a manifestare se stessa nonostante il terribile handicap che affligge il tuo corpo? Non è la tua stessa intelligenza, e la sua forza dirompente, Dio? Non è la tua incrollabile volontà e determinazione con cui l’hai affermata, Dio?
Non hai pensato che in un mondo sempre più materialista e cinico, la tua teoria della superfluità di Dio può contribuire a rendere il mondo un po’ più brutto, mentre 22 anni fa l’avevi reso più bello?
Ti sei mai chiesto se credere in Dio, indipendentemente dal fatto che Egli esista o no ed in quale forma, può essere un modo per rendere migliore l’esistenza?
Non ti chiedo se hai mai letto i Veda, o ti sei mai avvicinato al misticismo Sufi, che sull’interazione Dio – Universo avrebbero molto da dirti, perché mi sembra incredibile che tu abbia potuto ignorare quel patrimonio isolandoti esclusivamente nel positivismo scientifico.
C’è stato un grande Maestro spirituale del ‘900, si chiamava Osho, e naturalmente credeva in Dio. “Naturalmente”, nel senso letterale del termine, perché l’esistenza di Dio lui l’aveva sperimentata di persona nel conseguire l’illuminazione, che altro non è se non la percezione definitiva della vera natura dell’uomo.
Sai cosa diceva, Osho? Diceva che la logica è una puttana (come ben sanno gli avvocati): esistono argomentazioni logiche sia per affermare una tesi che per negarla. E tu, caro Stephen, con il tuo credere per “logica” in Dio 22 anni fa e col tuo negarlo oggi perché la Teoria è sufficiente a spiegare se stessa, ci sei caduto dentro con tutte le scarpe.
La logica, si sa, lo insegnano tutti i mistici, non è in grado di dimostrare Dio. Esiste qualcosa di più profondo e di più grande, al di là della logica, al di là del positivismo scientifico, che si può solo percepire e vivere, ma non si può dimostrare con il raziocinio né con la matematica.
Perciò, ti faccio l’ultima domanda, a nome del mio amico Raffaele, che dopo anni di ricerca spirituale la sa davvero lunga: che senso ha tutta questa tiritera scientifica sull’esistenza di Dio? Davvero, non se ne sentiva il bisogno.
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mercoledì 30 giugno 2010
Sniffa il micio
Immagina un foglio bianco tagliato in due da una linea orizzontale. La riga rappresenta il livello medio di consapevolezza degli umani sulla Terra attualmente (livello piuttosto basso, purtroppo). Puoi oltrepassare la linea, spostandoti al di sopra, oppure al di sotto. Se riesci ad andare al disopra, puoi diventare un Buddha. Se scendi al di sotto, ti avvicini all’ameba (nel senso che l’ameba è un po’ più evoluto di te).
Cosa ti porta al di sopra? L’introspezione, la meditazione, la preghiera, la ricerca spirituale. Cosa ti porta al di sotto? Lo sballo, che riassume in una parola tutto ciò che stordisce e ottunde la sensibilità dell’individuo dandogli l’illusione di non sentire più la paura, il dolore, la frustrazione.
Per procurarsi lo sballo, l’umano notoriamente fa ricorso alle tecniche più cretine e autolesionistiche disponibili nell’universo: alcool, droga, alta velocità, mondiali di calcio. E qui ti sconvolgo: anche il Buddha conosce lo sballo. Naturalmente, quello del Buddha è uno sballo intelligente, talmente intelligente che tu, col tuo medio livello di consapevolezza (piuttosto basso, purtroppo) non te lo puoi facilmente immaginare.
Lo sballo del Buddha è quello che acuisce al massimo la sensibilità dell’individuo, innalzandolo al tempo stesso al di sopra della paura, del dolore e della frustrazione. Buddha lo chiamava Nirvana: sei diventato molto più sensibile dell’uomo medio (non parliamo del quasi – ameba) ma osservi tutto con distacco, non ti identifichi più con i processi della mente e con i conseguenti effetti dolorosi di questa identificazione.
Lo sballo del Buddha puoi provarlo anche tu, anzi sicuramente ti ci sei già trovato molte volte ma la tua eccessiva familiarità con l’ameba non ti ha permesso di accorgertene. Accade quando la mente si svuota dei pensieri come un cielo sgombro da nuvole, quando ti senti felice senza un motivo esterno a te, quando ti sembra che il tuo corpo non finisca con i suoi confini naturali ma prosegua nell’infinito contenendo in sé tutti i mondi. Quei momenti unici di silenzio e di comunione col tutto possono essere favoriti in molti modi, come ho detto all’inizio: con la meditazione, l’introspezione, la preghiera, la ricerca spirituale.
C’è poi un modo fantastico e semplicissimo, che si chiama contatto con la natura. Se riesci a rapportarti ad essa in modo meditativo lo sballo buddhico può accadere anche a te. Prova con un micio: il tuo, se ne hai uno, o anche un micio randagio, o il micio del tuo amico più furbo di te (perché lui ha un micio e tu no). Fattelo salire addosso. Lascia che si accomodi su di te seguendo le sue imperscrutabili e surreali geometrie, entra in sintonia col suo ronfo soddisfatto, rimani nel suo campo aurico dimenticando la tua paura, il tuo dolore, la tua frustrazione. Respira l’energia del micio, lentamente, dolcemente. Vedrai che accade. La porta del Nirvana si apre da sola, e allora ti accorgi che in realtà non era mai stata chiusa, eri solo tu che eri cieco. Respira il micio e, per un attimo, riuscirai a sentire il Buddha che sei sotto la tua identità finta, sotto quello che credi di essere ma non sei (per fortuna).
Insomma, quello che voglio dirti è: per favore, smetti di sniffare – fumare – sbevazzare porcherie, smetti di incazzarti se la tua squadra non vince i mondiali come se fosse venuta meno la tua unica ragione di vita, smetti di sentirti vivo solo se metti in pericolo la tua vita con sfide cretine e sport estremi. Smetti di aggrapparti a tutto ciò che non dura e non è importante solo perché lo vedi e lo tocchi e ti fa sentire un dio. Tu non hai bisogno di “sentirti” Dio. Tu sei già Dio, devi solo aprire i tuoi occhi. E il micio, credimi, può davvero aiutarti. Molto più della droga, dei brividi estremi, persino dello psichiatra, che troppe volte ha bisogno di un altro psichiatra che si prenda cura di lui.
Per favore, quando ti senti giù, non fare cazzate. Sniffa il micio. Ti prego. Sniffa il micio – sniffa il micio – sniffa il micio.
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lunedì 31 maggio 2010
Grazie
Grazie, Signore, di avermi dato due genitori pazzi e fuori di testa, due genitori talmente sprezzanti delle leggi che regolano la vita umana su questo pianeta, che mi hanno insegnato a dare valore all’amore, alla verità, alla generosità, alla tolleranza, al rispetto. Mi hanno insegnato a non fare agli altri ciò che non avrei mai voluto per me, mi hanno portato a sviluppare il cuore, e, come le tre scimmiette indiane, a non guardare il male – non ascoltare il male – non pronunciare il male. Mi hanno insegnato l’importanza della dignità e della libertà, e, facendomi studiare, mi hanno permesso di impadronirmi di una chiave potente, la cultura, che si può usare per aprire molte porte, ma grazie a loro ha potuto aprire per me la porta più importante di tutte, quella della ricerca spirituale.
Con questi insegnamenti non si diventa ricchi. Non si fa carriera, non si raggiunge il successo. Succede solo che la sera ti addormenti con la pace nel cuore, e la mattina ti svegli colma di gratitudine, e qualunque cosa accada senti che sei protetta dal grande cuore di Dio che contiene in sé tutti i mondi, anche il tuo, e non hai più paura di cadere, perché, fuori da quel cuore, non c’è nessun posto dove cadere.
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